Pari opportunità: Cremaschi, è passata la doppia preferenza di genere nella legge elettorale, ma nessuno se ne è accorto

Per la nostra stampa è una notizia che non fa notizia

La discussione sulla doppia preferenza di genere, come la discussione sulla limitazione del numero di mandati agli eletti, introduce il tema della libertà del cittadino di scegliere il candidato che dovrà rappresentarlo. D’altro canto pone anche il tema della reale parità nelle condizioni di partenza per i possibili candidati alle elezioni. E se non riusciamo a garantire che veramente possano candidarsi alle elezioni le persone che rappresentano i cittadini/e, di fatto stiamo garantendo la piena libertà degli elettori/elettrici? Faremo veramente una politica che mette al centro gli interessi delle persone? se metà del mondo non sta nei luoghi in cui si prendono le decisioni queste decisioni saranno "per tutti"? 
Ma le donne non entrano in politica perché non ne hanno voglia, come dicono i miei colleghi consiglieri? ( non si trovano donne da candidare, dicono). Ma i ritmi della vita politica, le discussioni interminabili, a volte mirate più ad uno spazietto sul giornale che alla soluzione dei problemi e alla ricerca del bene comune quanto contrastano con le esigenze ( che anche gli uomini dovrebbero avere) di interrompere entro le 20.00 per andare a "far di cena" ai figli o agli anziani genitori? E' utile che si discuta in Consiglio fino all'una di notte per riuscire a "prendere l'avversario per stanchezza" e a far passare qualche emendamento? e la necessità di coltivare "relazioni sociali" perché i luoghi di decisione in realtà sono più fuori che dentro il consiglio è compatibile con la vita normale delle persone? 
E infine, come si misura la parità?
Utilizzo i temi che conosco come metafora della “lotta per la parità” : Negli USA negli scorsi decenni il dibattito sulla parità è stato centrato sul tema della intelligenza; qualcuno aveva preteso di dimostrare che, in un paese libero in cui chiunque può iscriversi alla Università, si potesse dimostrare una “gradazione” di intelligenza su base “razziale” in base al fatto che le selezioni venivano superate con migliori risultati da studenti asiatici, poi da ebrei, da “bianchi”, e infine da “neri” ed ispanici.
Gli studi successivi hanno dimostrato che, qualora gli studenti vengano esposti, fin dalle prime età della vita, a pari occasioni di lettura, di esperienze, di esplorazione, di conoscenza, allora i risultati agli esami universitari tornano a valori statistici simili, indipendentemente dalla appartenenza ad una categoria relativa al colore della pelle, alla cittadinanza, alla forma del naso o al tipo di capigliatura.
Riportando il tema sulle elezioni sono assolutamente certa che lasciare il criterio della libertà senza discutere su come è posta la linea di partenza non garantisca la reale libertà del cittadino. La candidatura “libera” da sola, per esempio, non ci libera dai meccanismi di cooptazione che vengono descritti con il termine di “old boys club”, cioè dai sistemi che costruiscono cordate di potere in ristretti circoli privati e clientelari… 
In tutte le scelte ci sono dei rischi: anche l’obbligo dell’inserimento nelle liste di un pari numero di donne può essere usato strumentalmente, anche le quote possono essere costruite in modo da istituire cordate tali che di fatto le donne inserite nelle liste fanno le “portatrici d’acqua all’uomo più conosciuto (o, perché no? più competente) abbiamo visto elette veline ed igieniste dentali che avevano il solo merito di essere belle ed allineate.
Non mi piacciono le “quote”, mi fanno sentire in una riserva di caccia, ma credo che siano, in questa fase storica, le uniche modalità che abbiamo per superare la barriera di vetro, per spingere le donne ad entrare e a modificare i ritmi e gli stili dell’attività politica. Questo può avvenire solo se accanto alle quote costruiamo reali politiche di parità, per cambiare i meccanismi di rappresentanza in termini di maggiore partecipazione e rappresentatività.
Questo farà bene alle donne che saranno più rappresentate, ma anche agli uomini e soprattutto alla “politica” che è il “fare” mettendo al centro il/la cittadino/a