CARLI: relazione di minoranza sul DEFR 2026

Pubblicato il giovedì 17 Lug 2025

Relazione di minoranza sul Documento di economia e finanza regionale 2026

Presentato dalla Giunta regionale il 27 giugno 2025

Egregio Presidente, Gentili Colleghe e Colleghi,
il Documento di Economia e Finanza Regionale 2026 presentato in occasione della sessione d’aula in cui verranno esaminati anche il disegno di legge sul Rendiconto 2024 e quello relativo all’Assestamento di bilancio estivo, rappresenta una continuazione ideale delle versioni precedenti.
Come spesso capita, ormai da diversi anni, nelle diverse versioni di questo importante documento di programmazione economico-finanziaria si ripetono premesse e contenuti, salvo qualche novità in alcuni settori.
A nostro modestissimo giudizio, questo documento di programmazione, fondamentale per definire l’azione di governo regionale, dovrebbe meglio coniugare gli aspetti rilevati nell’importante sezione relativa alle “Tendenze macroeconomiche” (unitamente ai numerosi report diffusi nel corso dell’anno dai vari Istituti di ricerca) per focalizzare al meglio gli obiettivi dell’azione stessa.
I dati statistici parlano chiaro, basta fare alcuni esempi: il Friuli Venezia Giulia ha un’economia che da anni cresce meno delle altre regioni del Nord Italia (e, in generale, dell’Italia); ha un indice di denatalità molto più basso di quasi tutte le regioni italiane (sicuramente molto più basso nel Nord, anche senza scomodare i modelli virtuosi dell’Alto Adige); non riesce ad arginare il drastico calo demografico nelle montagne (mentre sembra che altrove le cose stiano cambiando, in base al rapporto UNCEM 2025); ha un enorme bisogno di forza lavoro, anche qualificata, eppure non riesce minimamente ad impedire che 2.000 giovani ogni anno lascino il Friuli Venezia Giulia per andare a lavorare all’estero, dove ci sono migliori prospettive per un futuro non solo professionale, ma anche familiare.
Questi sono solo alcuni dei temi rilevanti, ai quali potremmo aggiungerne altri: ad esempio l’endemica incapacità dei Comuni ad impegnare le ingenti risorse ricevute anche dalla Regione, o la difficoltà nel garantire il diritto alla salute a tutti i cittadini, o la necessità di realizzare efficaci politiche di coesione sociale.
Dopo la lettura del DEFR, resta la sensazione di una presa d’atto dei dati statistici e delle condizioni socio-economiche della comunità regionale: è vero che siamo parte di un sistema più ampio e complesso. È vero che subiamo nel bene e nel male le dinamiche internazionali al pari dei territori a noi contermini. È vero che le evoluzioni non sempre prevedibili del quadro nazionale e di quello mondiale incidono in modo profondo sulle nostre imprese e quindi è molto complicato poter incidere direttamente e poter vedere i benefici delle azioni regionali.
Va sottolineato il fatto che non tutto vada male, anzi: volendo mutuare l’atteggiamento positivo e vincente di coloro che mirano al miglioramento e non al galleggiamento, riteniamo più serio concentrare l’attenzione su ciò che può (deve) essere migliorato, anziché soffermarsi troppo su ciò che va bene, come purtroppo la comunicazione politica tende a fare.
Già lo scorso anno abbiamo evidenziato che i dati contenuti nel documento evidenziano un PIL regionale cresciuto nell’anno 2023 a ritmi minori del 2022. Analogamente per il 2024 il trend è rimasto il medesimo, un aumento quasi inerziale che non ci premia nella classifica delle regioni italiane. Anzi, siamo gli ultimi nel nord Italia e siamo dietro ad alcune regioni del sud. Non un bel primato.
Per il quarto anno consecutivo la crescita del prodotto interno lordo in Friuli Venezia Giulia è inferiore rispetto al dato nazionale: ciò è avvenuto sia durante le fasi espansive del ciclo economico che in occasione del rallentamento registrato negli ultimi trimestri, dimostrando una generale difficoltà nella crescita economica rispetto ad altre regioni che certamente non godono della stessa grande abbondanza di risorse presenti nel bilancio regionale Fvg.
Visto il ripetuto confronto con il passato rispetto alle maggiori risorse oggi disponibili (e alle regole di Bilancio, in passato, molto più rigide e vincolanti), non possiamo permetterci che questa ricca dotazione non risponda ai problemi che ci sono e che altre Regioni a statuto ordinario, con meno risorse, stanno affrontando meglio di noi.
È chiaro che le azioni messe in campo dalla regione nel periodo post-covid non hanno dato i frutti sperati. Nonostante i poderosi aiuti statali, più il tempo passa e più ci si rende conto che la grande mole di risorse messe a disposizione dalla regione non si riesce a dare una svolta significativa nelle politiche socio-economiche.
Con questa premessa generale si potrebbe confermare il giudizio già espresso lo scorso anno, ma è interessante inquadrare tale valutazione e aggiornarla nell’ambito di una situazione socio-economica regionale in evoluzione, in modo da poter comprendere a fondo non solo le dinamiche che hanno portato a determinati risultati, ma soprattutto per rivalutare gli obiettivi futuri del DEFR rispetto ai cambiamenti in atto.
È pur vero che il sistema-paese italiano è sostanzialmente fermo. Ma il Friuli Venezia Giulia è più fermo del resto d’Italia: la conferma arriva dall’ISTAT.
Ma se abbiamo a disposizione tante risorse, riteniamo che qualcosina in più si potrebbe ottenere. Molte risorse sono ferme di fatto nelle casse degli enti locali, degli EDR e della stessa regione. Questo fatto non è certamente positivo. Anzi, come già detto da diverso tempo, rappresenta un problema evidenziato anche dalla Corte dei conti che si è concentrata soprattutto sulla critica alla gestione degli enti locali laddove ha certificato che ad oggi ci sono oltre 900 mln di euro bloccati non spesi.
I Comuni non hanno il personale per “mandare avanti le pratiche”, ma nel DEFR non emergono indicazioni su come risolvere questo gravissimo problema.
La regione stanzia molte risorse in diversi settori che vengono spesi con il contagocce. È inutile vantare un aumento delle entrate e delle risorse a disposizione, anche grazie alla riduzione della quota restituita allo Stato per la partecipazione al contenimento del debito pubblico, se poi non si è capaci di “metterle a terra” come piace dire a diversi esponenti di codesta giunta.
Se le risorse non vengono messe in circolo velocemente e non si mettono in pratica le politiche più volte annunciate (ad esempio il programma “Manifattura 2030”) continueremo a dimenarci nelle sabbie mobili.
Sarebbe ingeneroso e non veritiero affermare che va tutto male, anzi concordiamo che per molti versi la situazione della nostra regione sia invidiata da molti. Tuttavia, non è nemmeno possibile avviare un dibattito sul DEFR regionale senza alcun accenno alle cose da migliorare, a partire proprio dalla crescita economica, rispetto alla quale riteniamo sarebbe importante effettuare maggiori approfondimenti. Con le risorse disponibili, il Friuli Venezia Giulia dovrebbe avere una crescita economica maggiore del resto d’Italia, ma così non è da tempo e non vi sono al momento né spiegazioni né tantomeno soluzioni.
Sulle imprese, al netto dei doverosi interventi sui fondi di rotazione disponibili alle imprese e al settore agricolo e alle risorse per le infrastrutture dei consorzi industriali, evidentemente c’è qualcos’altro da fare. Perché altrimenti il cambiamento anche a livello di crescita economica sarebbe già avvenuto.
Non vorremmo che il sistema imprenditoriale nostrano si abituasse ad una serie di interventi di sostegno che portano poco valore aggiunto e che rischiano di affievolire tentativi seri di sviluppo a cui serve ben altro.
Una delle questioni importanti al giorno d’oggi è quella del miglioramento della produttività. Sarebbe interessante capire se su questo tema l’assessorato si è posto l’obiettivo di capire le dinamiche del sistema economico regionale e dove si possono apportare migliorie anche per cercare di elevare il prodotto interno lordo. Le nostre imprese sono per lo più di piccola dimensione. Si potrebbe pensare di incentivarne la crescita e/o la messa in rete? Che fine hanno fatto le reti di impresa? È chiaro che ogni discorso legato alla produttività e alla concorrenzialità sui mercati italiani ed esteri non ha senso se non mettiamo mano al nanismo che ci contraddistingue.
Anche in vista delle difficoltà conseguenti alle sciagurate scelte del governo americano in merito ai dazi doganali, non possiamo attendere i tempi europei e le inconcludenti manovre del governo italiano. Ci vuole un ragionamento complessivo del sistema economico regionale, forze datoriali e anche sindacati, per poter immaginare un percorso straordinario che ci traghetti oltre l’attuale sistema.
Altro tema legato alla crescita e alla tenuta del sistema economico-sociale è quello della rivitalizzazione dei piccoli centri attraverso la valorizzazione dei negozi di vicinato che svolgono anche una funzione sociale.
Cosa si sta facendo praticamente per far sì che nei piccoli comuni si mantenga una presenza di attività economiche artigiane e di commercio? Certo non bastano gli aiuti a sostenere e mantenere l’esistente e siamo consci che ormai quello che è stato perso è irrimediabilmente non recuperabile, rimanendo in attesa di vedere i contenuti del nuovo Testo Unico regionale del commercio-terziario-servizi annunciato nelle scorse settimane dall’assessore.
Il problema riguarda anche i centri di medie dimensioni. Laddove i centri commerciali hanno desertificato la presenza dei negozi di quartiere o quelle piccole attività non più concorrenziali hanno finito poi per subire la stessa sorte a causa di altre realtà sorte successivamente che si sono dimostrate più attrattive. Ma quest’ultime quanto dureranno? Una volta chiuse queste attività cosa si farà dei capannoni vuoti?
Più in generale, è necessario mettere a sistema il tessuto produttivo con la rete commerciale locale, attraverso il sostegno ed il potenziamento dei progetti di welfare territoriale.
Relativamente al tema delle politiche per la Montagna, va considerato l’interessante studio pubblicato di recente dall’UNCEM nazionale, che evidenzia come negli ultimi 5 anni (periodo post-covid) a livello nazionale sia in atto un interessante fenomeno di ritorno alla residenzialità in montagna o comunque in centri minori delle aree interne: tutto ciò avviene altrove, poiché in FVG le montagne stanno continuando a spopolarsi.
Magari potremmo pensare che tale fenomeno si possa attuare in futuro anche da noi. Ma certo ci vuole qualche idea nuova perché ciò avvenga, o magari imitare i buoni esempi realizzati in altre regioni, dove si sono create le premesse per fornire maggiori servizi più che bonus a pioggia.
Siccome pare che le risorse regionali non manchino si potrebbe tentare di dirottare le centinaia di milioni non ancora stanziati o stanziati in modo poco redditizio (come ad esempio per l’ILIA sulla seconda casa) in politiche sociali a favore delle famiglie con prole o di coloro che intendono ripopolare zone ora marginali
Sull’importante tema della denatalità si deve fare di più: l’intervento a favore delle famiglie che aspettano il terzo figlio sarà certamente gradito, ma aiuterà davvero poco nell’obiettivo complessivo di cercare di aumentare la natalità.
Nel contesto di decrescita della popolazione residente in FVG che già registra a fine 2022 un dato inferiore al milione e 200 mila e che secondo le proiezioni ci porterebbe a perdere altri 70.000 residenti tra 20 anni, si può finalmente parlare seriamente di immigrazione senza per forza cadere nell’ipocrisia ideologica?
Ancora più preoccupante il dato che ci indica che tra 10 anni la nostra regione perderebbe oltre 50mila persone in età lavorativa. Essendo finita la campagna elettorale, riteniamo che un serio ragionamento ponderato su questo tema non possa più essere eluso. Capire cosa significa oggi immigrazione nella nostra regione, capire le diverse situazioni e le dinamiche sarebbe utile per tutti per comprendere dove stiamo andando e quale sia il futuro demografico, fatto di numeri essenziali per capire se il contesto socio-economico che vediamo oggi potrà reggere.
Accanto a politiche di ri-popolamento autoctono si può discutere di controllo e regolazione dei fenomeni migratori? Perché non affrontare anche il problema dei giovani, spesso laureati, che lasciano le nostre terre con un trend in aumento negli ultimi anni? Tra il 2011 e il 2023, 30 mila giovani della fascia 18-34 anni hanno lasciato il Friuli Venezia Giulia per andare a lavorare (o a specializzarsi) all’estero, con Germania, Francia, Svizzera, Spagna, Regno Unito come destinazioni privilegiate.
Le stesse categorie datoriali chiedono di affrontare il tema, forse lo fanno in modo timido, ma il problema è sotto gli occhi di tutti.
Tutti questi temi vengono ignorati in maniera preoccupante dal Defr. Ci si vanta dell’occupazione in crescita. Ma si è a conoscenza della qualità del lavoro offerto in regione? Non bastano i numeri generici, è necessario andare più nel profondo e avere contezza della tipologia di lavoro che viene offerto, è necessario andare a fondo per capire a quanto ammontano gli stipendi.
La nostra Regione può esercitare un ruolo sulla tematica del lavoro che possa considerare anche la crescita dei redditi dei lavoratori in ragione della produttività delle aziende stesse. Da questo punto di vista, il DEFR 2026 risulta del tutto carente: non solo ignora la necessità di affrontare la questione del “lavoro povero”, ma non accenna minimamente alcuna strategia di politica economica.
Un altro aspetto poco trattato in questo DEFR riguarda la popolazione in situazioni di difficoltà: sempre più persone cadono nella precarietà del lavoro e nel disagio di non potersi più permettere la vita di un tempo. Sono in aumento le differenze tra le classi sociali più agiate e le fasce più povere.
La misura di sostegno ai pensionati con reddito al minimo è poca cosa e non cambia la vita alle persone interessate. Se pensiamo che altre misure di contribuzione a pioggia, come ad esempio quella dell’ILIA sulla seconda casa, sono ben più consistenti in termini di cifre complessive ma che in sostanza si traducono forse in alcune centinaia di euro a vantaggio di persone con reddito medio, ci accorgiamo che la regione potrebbe meglio redistribuire le sue risorse. Eppure, lo ricordo, nelle ultime due Leggi di Stabilità ci sono stati respinti emendamenti che proponevano l’eliminazione per i redditi più bassi e, in alternativa, la riduzione dell’addizionale regionale IRPeF con la motivazione che “i benefici sarebbero stati irrisori”.
Per quanto riguarda gli aspetti ambientali nel DEFR non troviamo indicazione sugli importanti interventi in fase di discussione sul fiume Tagliamento e poco si dice sulla programmazione di interventi contro il rischio idrogeologico.
Sul comparto degli enti locali si continua a fare come lo struzzo. Ormai anche gli stessi amministratori comunali appaiono rassegnati all’agonia burocratica. Qualcuno aspetta la fenice provinciale come evento salvifico. Continueremo a ripetere che se non si mette mano seriamente ad un pensiero concreto sulla riorganizzazione dei Comuni, le ingenti risorse nelle casse rimarranno non spese, i progetti inattuati, e i benefici non concretizzati.
In conclusione, riterremmo utile inserire nel DEFR un approccio metodologico volto alla definizione di macro-obiettivi derivanti da una seria presa di coscienza delle tendenze macroeconomiche in atto, obiettivi rispetto ai quali poter valutare nel corso degli anni l’efficacia delle azioni riportate nelle varie Missioni dello stesso DEFR; questo esercizio di “valutazione di impatto” dovrebbe rappresentare il principale strumento di lavoro per coloro che sono stati chiamati dai cittadini alla responsabilità del governo regionale, soprattutto alla luce del fatto che le condizioni della Regione Friuli Venezia Giulia (Specialità e quantità enorme di risorse da investire) rappresentano il miglior prerequisito per impostare politiche ambiziose miranti a risolvere i problemi sopra descritti.
Molte altre Regioni a Statuto ordinario e con risorse disponibili largamente inferiori a quelle del Friuli Venezia Giulia presentano condizioni socio economiche migliori: sarebbe interessante poter approfondire questa importante tematica nel DEFR, quale elemento fortemente qualificante per la definizione degli obiettivi e dell’azione di governo. Tutto ciò non è purtroppo presente, né nel DEFR né in altri documenti di programmazione.
Prevale invece la sensazione che l’unica “valutazione di impatto” effettuata sia basata sui sondaggi legati al consenso degli elettori, il cui esito può certamente rappresentare elemento di soddisfazione nel breve periodo, ma non contribuirà a traguardare il futuro socio-economico a medio-lungo termine della nostra comunità regionale.
Molte delle nostre proposte in aula avranno l’obiettivo di definire un orizzonte di medio-lungo periodo nelle azioni di governo, essendo tutti consapevoli delle enormi risorse disponibili nel bilancio regionale che richiedono responsabilità di scelta per essere all’altezza delle importanti sfide del futuro.
Riteniamo che questo sia un atteggiamento di grande responsabilità, diametralmente opposto a chi vuole far passare all’opinione pubblica l’opposizione come “contraria a prescindere”: ci sembra che i recenti voti favorevoli riguardo alcuni DDL interessanti abbiano evidenziato il nostro approccio, nell’auspicio che l’applicazione di queste Leggi siano coerenti con l’intento delle norme approvate.
Auspichiamo da parte della maggioranza un analogo atteggiamento di ascolto e condivisione delle nostre proposte, al fine di poter dare una prospettiva seria al futuro dei nostri corregionali.

Andrea Carli

Trieste, 17 luglio 2025

2798 - CAR-Relazione MIN_DEFR2026 definitiva

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