Visione e dialogo per una regione finalmente unita

L’INTERVISTA di Mattia Pertoldi sul Messaggero Veneto

«Visione e dialogo per una regione finalmente unita»
L'INTERVISTA di Mattia Pertoldi sul Messaggero Veneto di ieri per chi non avesse potuto leggerla
Ripete ormai da così tanto tempo che lui «è fuori» per quanto riguarda le partite future che a Sergio Bolzonello difficilmente si può imputare di volersi intromettere nella discussione sul destino di Confindustria per interesse. No, l'ex vicepresidente della Regione decide di parlare per provare a offrire una sua visione dello stato dell'arte in Friuli Venezia Giulia dopo il quinquennio trascorso da numero due della giunta – con in mano la delega alle Attività produttive – e l'anno e mezzo da "capo" dell'opposizione targata Pd.Bolzonello, che idea si è fatto della situazione?

«Il vero problema del Friuli Venezia Giulia non è tanto la presenza o meno di una valida classe dirigente quanto l'incapacità di guardare lontano perché, su qualunque argomento, si alimentano soltanto beghe locali».

Non le sembra di esagerare?

«No, la realtà dice che è diventato impossibile intavolare un ragionamento che non porti, alla fine, a una contrapposizione ideologica, territoriale e addirittura di appartenenza anche all'interno dello stesso schieramento. È un po' quello che sta accadendo, oggi, nel centrodestra: quella non è una coalizione, ma un insieme di gruppi che ha fatto sistema per governare».

La sua è una visione un po' tragica, non pensa?

«Credo realistica. Oggi non c'è nemmeno più voglia di interlocuzione tra i diversi corpi. Vale per la politica, ma anche per l'economia. Non si fa nemmeno più la fatica di discutere, tanto è vero che la figura policentrica del Friuli Venezia Giulia era stata costruita attraverso il dialogo dei partiti che riuscivano a mettere insieme ragionamenti politici e compensazioni territoriali».

Adesso è cambiato tutto?

«Temo di sì e basta osservare, esternamente, cosa sta succedendo per notare come alcune mosse siano compiute soltanto per interessi personali. Non che io sia un'anima pia, siamo chiari, e capisco benissimo quanto pesino consenso e potere, ma allo stesso tempo credo che possano stare assieme al benessere comune».

Scusi, ma lei ha governato cinque anni…

«Infatti sono la prova vivente che quello che dico è la verità. Rilancimpresa l'ho costruito con il dialogo. A partire da quello con le opposizioni, e penso alle sollecitazioni recepite da parte di Alessandro Colautti, Riccardo Riccardi e Roberto Relevant ad esempio, alle associazioni di categoria e ai sindacati. E l'ho fatto perché avevo una visione precisa».

Quale?

«Quella di una regione unica che aveva la necessità fondamentale di sviluppare la logistica per il bene dell'economia a partire dal porto di Trieste e dal sistema degli interporti al cui interno, piaccia o meno, il più importante è quello di Pordenone. Perché è l'unico realmente in grado di dialogare con il nodo di Verona e da lì con il resto d'Europa. Il tutto sempre tenendo in considerazione la necessità di compensazione territoriale attraverso il sistema dei Consorzi, dei Confidi e dei fondi comunitari».

Entrando nel dettaglio della questione come valuta il rapporto tra Udine e Pordenone?

«Parliamo di due grandi manifatture, diverse sotto alcuni aspetti di tipologia di produzione industriale, ma identiche come modalità di affrontare i mercati internazionali. L'obiettivo, di tutti, deve essere quello di tenere assieme i due sistemi non di staccarli. Certo, a condizione che Udine si renda conto di un particolare fondamentale».Lo può spiegare?«Il rapporto di Pordenone con il mondo economico veneto. Se io parto dal mio studio di Corso Garibaldi impiego 42 minuti per raggiungere Confindustria Treviso. Se, invece, punto su palazzo Torriani bene che vada me ne servono 65. E qui si innesta un'altra problematica».

Il sistema infrastrutturale?

«Esattamente. Udine, anche quando contava e pesava davvero sullo scacchiere regionale, non ha mai voluto investire seriamente sugli assi viari verso Pordenone e così diventa quasi inevitabile che da noi si guardi al Veneto».

C'è sempre, però, questa sensazione di fondo secondo la quale a Pordenone si viva una sorta di complesso di inferiorità rispetto a Udine, non trova?

«Ma non è un piagnisteo, visto che la situazione è legata ai numeri. Qualsiasi settore si prenda in esame quanto a trasferimenti pro capite, si scopre che quelli a favore di Pordenone sono molto più bassi dei soldi destinati a Udine. Volete un esempio? Prendiamo il turismo. Quando sono arrivato, nel 2013, il gap era di 18 punti. Nel momento in cui me ne sono andato era stato ridotto al 4-5%, mentre adesso siamo ritornati al punto di partenza. Sono problemi veri, oggettivi, non rivendicazioni di campanile».

Cosa ne pensa della strategia di Michelangelo Agrusti?

«Agrusti si comporta, da sempre, nella stessa maniera disegnando scenari più o meno belli a seconda dei punti di vista, ma con cui bisogna fare i conti. In questo caso è un suo scenario personale, peraltro legittimo, nato però perché ne manca uno complessivo e generale».

In definitiva lei è per gli enti unici oppure per realtà separate?

«Certamente, come ho sempre detto e ribadito, l'obiettivo deve essere quello di un'unica Confindustria e una sola Camera di commercio per tutta la regione. Faccio notare, tuttavia, come torniamo sempre al discorso iniziale. E cioè che ci sia la forte necessità di riprendere in mano la via del dialogo, e di una visione complessiva, per avere un Friuli Venezia Giulia finalmente unito».