DA GIAU: relazione di minoranza PLN n. 18

Relazione di minoranza sul Progetto di legge nazionale n. 18 Modifiche normative agli articoli 28 e 29 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero)

Signor Presidente, egregie colleghe e colleghi Consiglieri,
La proposta di legge nazionale n. 18 (nel prosieguo, “PLN”) intende irrigidire le condizioni per il ricongiungimento familiare dei cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti in Italia.
La relazione illustrativa, che accompagna l’articolato in esame, indica le ragioni alla base delle nuove disposizioni restrittive proposte, facendo particolare riferimento alla realtà del Comune di Monfalcone che, secondo i proponenti, risulterebbe esemplificativa della situazione nazionale. Queste ragioni si collegano:
– al controllo dei flussi migratori indicando il ricongiungimento come la principale strumento di immigrazione legale, evidentemente sgradita;
– alla preservazione di un equilibrio nella composizione della società paventando la messa in minoranza della popolazione italiana;
– al contenimento dei contributi erogati in favore dei cittadini di Paesi terzi che soggiornano regolarmente sul territorio italiano ponendo l’accento sulla sottrazione di risorse alla popolazione italiana e trascurando volutamente l’apporto positivo in termini di PIL creato con il loro lavoro degli extracomunitari.
Per raggiungere questi obiettivi vengono proposte modifiche alle disposizioni del D.Lgs. 286/1998 che di fatto limitano l’accesso del lavoratore straniero al diritto al ricongiungimento familiare:
– la fissazione di una soglia reddituale legata, non più all’importo annuo dell’assegno sociale, bensì al limite di reddito necessario per accedere al patrocinio a spese dello Stato nelle cause civili;
– l’estensione, da uno a due anni, del periodo di soggiorno regolare dell’interessato;
– per i lavoratori subordinati, la titolarità di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
– per i lavoratori autonomi, una relazione reddituale biennale accompagnata da una verifica fiscale dell’Agenzia delle Entrate;
– l’obbligo di registrazione in Italia del matrimonio contratto all’estero;
– una nuova certificazione dell’idoneità dell’alloggio nella disponibilità dell’interessato.
Un tanto viene a essere proposto appellandosi ad una non aderenza alla direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al ricongiungimento familiare. contraddicendo nella però nella sostanza quella che è la finalità della direttiva stessa volta a “favorire il ricongiungimento famigliare” considerato come un presupposto per consentire “la vita familiare” e per agevolare “l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri” come richiamato da precise sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea .
Il diritto al ricongiungimento mira a tutelare l’unità della famiglia, che costituisce un diritto fondamentale di ogni persona, collegato al diritto al rispetto della vita privata e familiare, riconosciuto dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’art. 8 CEDU.
La Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che “la discrezionalità riconosciuta agli Stati membri” nell’attuazione della dir. 2003/86 “non dev’essere impiegata dagli stessi in un modo che pregiudicherebbe l’obiettivo della direttiva, che è di favorire il ricongiungimento familiare, e il suo effetto utile” o in modo da “violare il principio di proporzionalità”, non devono cioè fissare oneri inutili o eccessivi.
Già da questi primi elementi possiamo trarre un giudizio di incompatibilità di fondo della normativa proposta che mirando a controllare i flussi migratori, a contenere le erogazioni a favore dei cittadini di Paesi terzi e a preservare l’equilibrio nella composizione della società si distanzia anche dai valori fondanti della nostra Costituzione, ancorati all’uguaglianza, alla solidarietà e al divieto di discriminazioni basate sulla nazionalità, oltre che dalle altisonanti dichiarazione sulla centralità della famiglia, su cui fa perno molta della retorica identitaria di questa maggioranza.
Come dichiarato durante il dibattito in commissione non è nostra intenzione negare il problema e la difficoltà della gestione della popolazione immigrata sul nostro territorio, ma ci pare di ravvedere in questo provvedimento non la ricerca di soluzioni che tutelino i diritti e risolvano le criticità valorizzando le opportunità che la presenza dei nuclei famigliari sul territorio può rappresentare (stabilità della residenza, controllo sociale, integrazione degli adulti attraverso la scolarizzazione dei figli), bensì l’elusione dello stesso. I requisiti proposti sono del tutto irrealistici e sproporzionati
Ciò vale, anzitutto, per la soglia reddituale collegata al reddito minimo per l’accesso al gratuito patrocinio. L’art. 7, par. 1, lett. d), della dir. 2003/86 consente agli Stati membri di chiedere all’interessato di dimostrare il possesso “di risorse stabili e regolari sufficienti per mantenere sé stesso e i suoi familiari senza ricorrere al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato. Gli Stati membri valutano queste risorse rispetto alla loro natura e regolarità e possono tener conto della soglia minima delle retribuzioni e delle pensioni nazionali, nonché del numero di familiari”.
Rispetto alle indicazioni della direttiva, il parametro reddituale per l’accesso al gratuito patrocinio è del tutto illogico, perché non è di per sé indice di sufficienza e di stabilità di risorse per il mantenimento della famiglia. Questo limite è invece legato a una valutazione della possibilità di sostenere autonomamente le spese derivanti da un contenzioso, al fine di garantire il diritto all’assistenza di un avvocato nell’ambito di un processo. Ciò non centra nulla con il ricongiungimento familiare e con la prova del possesso di risorse sufficienti al mantenimento della famiglia. L’estensione, alla materia del ricongiungimento familiare, di una soglia reddituale fissata dal legislatore italiano per fini del tutto diversi risulta, pertanto, priva di qualsiasi senso, se non quello di intralciare il ricongiungimento delle famiglie dei cittadini di Paesi terzi, in netto contrasto con le finalità perseguite dalla dir. 2003/86. Poiché inoltre, secondo i proponenti, la norma sarebbe dettata dalla diretta e precisa conoscenza e consapevolezza della realtà locale, non si può non pensare che la soglia reddituale aumentata, non certo in linea con i salari dei lavoratori in questione, non si altro che una barriera volutamente respingente.
Ugualmente, illogico e sproporzionato risulta il requisito del possesso, per i lavoratori subordinati, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, per i lavoratori autonomi, di una relazione reddituale biennale accompagnata da una verifica fiscale dell’Agenzia delle Entrate.
Con riguardo ai lavoratori dipendenti, va infatti sottolineato che diverse possono essere le fonti legittime dalle quali un cittadino di un Paese terzo può conseguire risorse sufficienti e stabili per mantenere la propria famiglia. Potrebbe trattarsi di contratti a tempo indeterminato, di contratti a termine o anche di altre fonti, purché legittime. Quel che conta non è l’origine delle risorse, “bensì il loro carattere duraturo e sufficiente” . In un mercato del lavoro caratterizzato dal frequente ricorso a contratti a termine, escludere i redditi derivanti da questi contratti, ai fini del ricongiungimento familiare, appare nuovamente struementale.
Per quanto riguarda poi i lavoratori autonomi, va detto che l’imposizione di una verifica fiscale rappresenta un onere amministrativo inutile ai fini della dimostrazione del possesso di risorse adeguate, onere che per di più comporterebbe un enorme aggravio di lavoro per la pubblica amministrazione.
Infine, del tutto sproporzionato (un “quid pluris”, come ha riconosciuto il Garante regionale dei diritti della persona nel suo parere) il requisito della trascrizione del matrimonio.
A tal riguardo, va ricordato che la legislazione statale vigente prevede delle misure (meno restrittive, molto più efficaci e molto più logiche) per l’accertamento dell’autenticità dei documenti che dimostrano il rapporto di coniugio. L’art. 29, comma 7, del D.Lgs. 286/1998 stabilisce infatti che “il rilascio del visto del familiare per il quale è stato rilasciato il [nulla osta al ricongiungimento] è subordinato all’effettivo accertamento dell’autenticità, da parte dell’autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o stato di salute”. L’autenticità della documentazione relativa al matrimonio risulta, quindi, da una verifica effettuata dall’autorità consolare italiana, prima del rilascio del visto in favore del coniuge. Rispetto a questa verifica, il requisito della trascrizione del matrimonio è del tutto inutile e si appalesa per quel che è: uno strumento per ostacolare il ricongiungimento familiare, che si pone in diretto contrasto con la finalità perseguita dalla dir. 2003/86 che è, all’opposto, quella di favorire l’unità familiare e l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti.
Al di là e in aggiunta alle considerazioni più strettamente giuridiche, ricordiamo qui come abbiamo fatto in commissione, che questa amministrazione, ha ridotto piani e programmi di intervento previsti dalla legge 31/2015 recante “Norme per l’integrazione sociale delle persone straniere immigrate”, a sole misure “difensive” nei confronti dei flussi migratori, mentre ha trascurato tutto il campo degli interventi finalizzati all’integrazione e coesione sociale che riteniamo fondamentali per assicurare diritti e sicurezza sia degli stranieri che degli italiani.
Alla luce delle considerazioni esposte, riteniamo di dovere esprimere voto contrario alla proposta in esame.

DA GIAU

4030 - DAG relazione PLN 18