COSOLINI: relazione di minoranza sul PDL n. 7

Relazione di minoranza sulla Proposta di legge regionale n. 7 Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019

La Proposta in discussione non è una legge sul fine vita e sul suicidio assistito; è bene ribadirlo, onde evitare fraintendimenti. Ciononostante, se è vero che il dispositivo della sentenza della CC n. 242/2019 riguarda la non punibilità dell’aiuto al suicidio, è anche vero che nelle considerazioni in diritto la Corte indica con forza un percorso per l’effettivo riconoscimento, a determinate e molto specifiche condizioni, del diritto al suicidio assistito.
Per dirla con le parole della Corte: “la decisione di illegittimità costituzionale faccia emergere specifiche esigenze di disciplina”; si tratta di un forte sprone rivolto al legislatore nazionale a che intervenga per definire i contorni di un diritto che, forse, dovrebbe entrare quanto prima nei livelli essenziali di assistenza.
Di fatto si tratta di una questione etica –una dimensione composita dell’etica che coinvolge diverse discipline- che il diritto ha l’onere di recepire.
La questione, per la sua complessità e delicatezza, non andrebbe trattata con partigianeria ma con spirito aperto e attento alle diverse sensibilità mantenendo al centro l’uomo e la sua libertà.
E’ evidente che per disciplinare compiutamente la questione del fine-vita e del suicidio assistito è necessario l’intervento del legislatore nazionale ed è altrettanto evidente che tale disciplina deve agire nel contesto specifico della legge 38/2010, “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” nonché armonizzarsi, innovandola, con le disposizioni della legge n. 219/2017, “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, in particolare mettendo “a disposizione del paziente che versa [in determinate e circoscritte condizioni, NdR] trattamenti diretti, non già ad eliminare le sue sofferenze, ma a determinarne la morte” (CC sentenza n. 242/2019).
Cionondimeno, è la stessa Corte che mette in evidenza l’inerzia del Legislatore nazionale e al contempo l’urgenza di un provvedimento ed è proprio a causa di questa inerzia che interviene, pur nel rispetto dei ruoli costituzionali, tracciando, forse, qualcosa di più che un indefinito percorso.
L’orientamento della Corte, che compie un eccezionale sforzo di contemperamento di principii, infatti, è chiaro: “il fondamentale rilievo del valore della vita non esclude l’obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza tramite l’interruzione dei trattamenti […] non vi è ragione per la quale il medesimo valore debba tradursi in un ostacolo assoluto, penalmente presidiato, all’accoglimento della richiesta del malato di un aiuto che valga a sottrarlo al decorso più lento conseguente all’anzidetta interruzione dei presidi di sostegno vitale.”
Considerato l’equilibrio, ma anche il peso della determinazione della massima Corte, la questione della competenza ad agire, ossia se e quanto e come anche una Regione a statuto speciale possa intervenire in questo preciso ambito, rischia di diventare secondaria perché il non facere è comunque la soluzione eticamente e politicamente peggiore.
Come detto è fuori discussione che una organica disciplina della materia compete il livello nazionale, purtuttavia ci sono delle azioni che anche una regione può mettere in campo per anticipare, pur nel rispetto delle competenze riservate allo Stato, l’intervento del Legislatore centrale.
A maggior ragione, una regione come il FVG che oltre ad essere autonoma è anche uscita dal Fondo Sanitario Nazionale, ben potrebbe allungare il passo anche perché non sarebbe la prima volta.
Ne avrebbe tutte le possibilità. Già con la LR n. 10/2011 (Interventi per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore), impugnata dal Governo, la Corte, dando ragione al FVG aveva ribadito in più punti l’autonomia dell’ente territoriale in materia di sanità e di organizzazione sanitaria.
In particolare aveva rigettato, considerandole inammissibili, le congetture del Governo rispetto all’incostituzionalità di norme organizzative dei servizi; ciò sta a dire che entro la garanzia dei LEA è lecito per la regione contemplare gli adempimenti attuativi e di carattere organizzativo che ritiene più opportuni.
Non da ultimo, la Corte ribadisce che quando lo Stato non concorre al finanziamento del servizio sanitario delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, non “ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario che definiscano le modalità di contenimento di una spesa sanitaria che è interamente sostenuta” dalle Regioni a statuto speciale e dalle Provincie autonome (sentenza n. 341 del 2009).
Discorso parzialmente sovrapponibile a quanto sopra riguarda la definizione dei LEA che senza dubbio spetta allo Stato stabilire, ma che non preclude alle regioni una certa autonomia.
A dimostrazione di ciò, la Regione FVG aveva già introdotto la possibilità di un livello aggiuntivo di assistenza sanitaria (art. 4 LR n. 13/2017 “Disposizioni per la tutela delle persone affette da fibromialgia”). Con questo non si vuol dire che su un tema così delicato si possa bypassare la fissazione di un LEA nazionale, ma si desidera evidenziare che ben si possono portare avanti almeno le norme di carattere organizzativo volte a facilitare le determinazioni dei pazienti inseriti nei percorsi delle cure palliative come intende fare la PDL in discussione.
Non resta che rimarcare la colpevole inerzia del Legislatore nazionale che abdica al suo ruolo nonostante una forte sentenza della Corte che è anche un monito. E non si può non evidenziare che la Giunta regionale di centrodestra fa eco all’inerzia centrale con l’aggravante date le prerogative che la Regione ha in materia sanitaria sia per quanto riguarda l’organizzazione sia per quanto riguarda la capacità di spesa.
È, tra l’altro, l’ennesima dimostrazione che il centrodestra, al di là delle roboanti dichiarazioni, fatica a sfruttare le prerogative dell’autonomia.
Abbiamo sentito argomentazioni in opposizione a questa misura che francamente non possiamo condividere. Ne cito alcune:
o quella per cui si aprirebbe uno spiraglio che poi si allargherebbe in modo incontrollabile in una diffusione generalizzata del suicidio, che definirei uno scenario apocalittico;
o quella per cui andremmo a creare una diversità nell’accesso ai LEA;
o quella infine che vorrebbe contrappore al diritto di cui stiamo parlando il rafforzamento delle cure palliative, fondamentali, ma che non possono essere una risposta esaustiva.
Stiamo invece parlando del riconoscimento di un diritto, che la Corte ha voluto individuare in presenza peraltro di ben circoscritte situazioni, che certo possiamo definire estreme.
E stiamo parlando quindi di assicurare l’esercizio di questo diritto mediante l’accesso ad un trattamento sanitario, ovvero ad un servizio pubblico che spetta alla Regione garantire.
Ciò che chiede la PDL è infatti di dare riscontro a questo diritto di accesso ad un servizio della sanità regionale con prassi più strutturate, superando disomogeneità di modelli organizzativi e di interpretazione, con ciò rafforzando anche le certezze operative necessarie per i professionisti del sistema.
La vita si è detto, va rispettata sempre, ma proprio perché è vero questo va rispettata anche la libertà di scelta su se stessi espressa in maniera inequivocabile da chi soffre il dolore totale anche perché senza speranza alcuna.
Comprendo bene, e l’ho colta anche in alcune testimonianze nelle audizioni, apprezzate anche se diverse dal mio personale sentire, la complessità della questione dal punto di vista etico e morale.
Vorrei che questa complessità fosse colta anche da chi, in omaggio a legittimi convincimenti personali, voglia condizionare la mia possibilità di decidere come affrontare una condizione di grave sofferenza, per me e per chi mi sta vicino, in presenza di quelle condizioni che, in attesa di una disciplina statale, la Corte mi ha riconosciuto.
Infine una considerazione: una politica incapace di decidere e legiferare in presenza di una tematica così sentita dall’opinione pubblica è una politica che rinuncia a ridurre il distacco crescente dai cittadini: tanti indicatori ci dicono che la comunità ci chiede di saper rispondere alla domanda di una legge che disciplini questa materia. Non farlo è molto grave.

Roberto Cosolini

1318 - COS Relazione PDL 7